martedì 17 giugno 2014

IN SOLITARIA TRA I MAASAI - viaggio nel cuore dell'Africa più vera

foto Marc Borom

Il centro di Nairobi sembra un formicaio, tutti pare abbiano fretta di fare qualcosa, le persone si incrociano, si urtano, si calpestano, si aiutano a trasportare carichi inverosimili con ogni mezzo: il tutto cercando di non essere investiti dai matatu che sfrecciano indifferentemente tanto sulle strade che sui marciapiedi!
Arrivo alla viuzza da dove partono i taxi collettivi per il sud, il caos è totale, ogni conducente cerca di farti salire sul proprio mezzo senza neppure chiederti dove vai.  Mi informo su quale sia il matatu diretto a Narok, da lì organizzerò il  mio viaggio nella terra dei Maasai.
foto estero e viaggi
        
Prendo posto sul pulmino, sono l’unico bianco, gli altri viaggiatori mi osservano, i più piccoli mi fissano, non capita spesso di trovare uno straniero su questi automezzi. Il viaggio dura qualche ora, le strade appena fuori dalla capitale sono per lo più asfaltate, il matatu sfreccia, carico all’inverosimile verso sud attraverso la Rift Valley. 
@ estero e viaggi

Narok è l’ultima città dalla quale è possibile organizzare un safari e me ne rendo conto appena metto piede fuori dal matatu. I procacciatori mi assalgono, ma parlandoci mi rendo conto di essere l’unico straniero in quel villaggio quel giorno e che quindi dovrei noleggiare fuoristrada e autista e sostenere tutte le spese da solo. Lascio così perdere l’idea di un safari organizzato e mi faccio un giro per le vie del villaggio. Case fatiscenti, empori di ogni genere e ristoranti poco invitanti sorgono ai lati delle strade di ciottoli, gli abitanti sono tutti in giro, vendono qualsiasi cosa, il commercio è l’anima dell’Africa. Qua e là capre e mucche scheletriche mangiano fogli di carta e rifiuti. Decido di tornare al capolinea degli autobus, proseguirò il mio viaggio con i mezzi pubblici. Anche qui ogni conducente cerca di farti salire sul proprio mezzo, ma dopo non poche difficoltà riesco a sapere qual è quello che va a Talek, ultimo villaggio prima delle sterminate pianure del Maasai Mara.  Il mezzo è un vecchio camion trasformato in autobus risalente agli anni Sessanta, dicono che partirà non appena sarà pieno ed è questa la cosa inquietante!

@ estero e viaggi
  
 Io sono uno dei primi a salire e mi sistemo dietro, vicino al finestrino.  Intanto cominciano a caricare a bordo qualunque cosa, sacchi, polli, scatoloni  e sul tetto iniziano ad accatastare e legare decine e decine di pacchi, casse di birra e taniche d’acqua. Dopo alcune ore tutto è pronto e si parte. Usciti dal villaggio le strade sono di terra battuta e piene di buche e mi rendo conto che sarà un viaggio interminabile. Attraversiamo la savana, qua e là oltre le solite capre e mucche ci sono gazzelle, gnu, facoceri, orici. Ogni tanto sul ciglio della pista qualche Maasai attende il nostro passaggio per farsi consegnare una delle innumerevoli taniche d’acqua legate sul tetto, i più fortunati ricevono anche una cassa di birra. Il nostro autobus è l’unico mezzo di trasporto ad attraversare questa zona, pertanto si ferma in continuazione, alcuni scendono, la maggior parte salgono, siamo carichi all’inverosimile. Di fianco a me si avvicendano personaggi di ogni tipo finchè non arriva a sedersi un guerriero Maasai, con le sue armi al seguito. Rimango qualche istante incantato a guardarlo, le orecchie forate all’inverosimile, la lancia, lo scudo, il pugnale, i capelli modellati con l’argilla. Lo spazio è davvero poco così cerchiamo di incastrarci alla meno peggio, ma io sono già costipato tra scatoloni e sacchi di riso; il risultato sarà che nelle restanti tre ore di viaggio l’asta della sua lancia premerà sulle mie costole talmente tanto da lasciarmi il segno!

@ estero e viaggi
Arrivo a Talek all’imbrunire, il villaggio è una piazza attorno alla quale sorgono le case, tutt’intorno la savana cosparsa delle capanne dei Maasai. Prendo una stanza nell’unica foresteria della città, sono l’unico turista, chissà da quanto tempo, infatti tutti i bambini mi stanno intorno, guardano incuriositi il mio colorito pallido.
Qui nel villaggio parte della popolazione ha dismesso gli abiti  tradizionali, quindi si mescolano guerrieri dai caratteristici mantelli a quadri rossi a gente vestita in vecchissimi e lisi completi all’europea. I carretti trainati dagli asini si incrociano con i vecchi fuoristrada. Entro in uno dei due bar del villaggio e mi siedo con persone in abiti tradizionali, c’è anche la birra, ma non il frigorifero!

@estero e viaggi
  Il proprietario della mia guesthouse ha anche un fuoristrada e con lui organizzo un safari per il giorno dopo, per andare nel territorio dei big five infatti serve un mezzo a motore, è troppo pericoloso, i guardaparco sono inflessibili. Il villaggio è già nel territorio del parco e farsi una passeggiata appena intorno vuol dire incontrare antilopi, facoceri, marabù, babbuini e se si è fortunati anche gli elefanti, ma se si vogliono osservare i grandi predatori, ci si deve addentrare nella savana, oltrepassare i pascoli dei Maasai e arrivare nelle loro zone di caccia.
La sera vado a dormire presto, il safari infatti comincia prima dell’alba, ma comunque il generatore di corrente funziona solo fino alle 20 e nel buio totale non è molto indicato restare in giro da queste parti. La stanza è molto spartana e la zanzariera piena di buchi, così il sonno tarda a venire, ma il cielo notturno è uno spettacolo senza precedenti, le stelle sono iridescenti, sembra di poter toccare la Via lattea così passo gran parte della notte ad osservarle. Puntuale il mio autista si presenta prima che faccia giorno, percorriamo alcuni chilometri su piste di fango e vediamo sorgere il sole tra migliaia di zebre e di gnu. Ad un tratto l’autista blocca la jeep e prende il binocolo-ci siamo-dice-ecco simba! Avanziamo lentamente e scorgo lui, il re di tutti gli animali, non da solo ma con la sua compagna, mentre approfittano del fresco mattutino per perpetrare la loro specie. I due leoni, ci guardano avvicinarci ma rimangono impassibili, loro costituiscono l’ultimo anello della catena alimentare, non hanno predatori naturali e quindi niente li intimorisce. 

@ foto fieldstudy.com

Poco più in là altri due leoni, più piccoli, probabilmente i loro figli maggiori. Dopo qualche chilometro un altro branco, questi sono di più e sono intenti a spolpare la carcassa  di una mucca. Prima mangiano i maschi, poi mangeranno i cuccioli e solo alla fine le leonesse potranno appropriarsi degli scarti. Chi non rispetta questa gerarchia viene allontanato con ruggiti che fanno venire i brividi e che mostrano dei denti formidabili. Con il nostro fuoristrada arriviamo a pochi metri da questo spettacolo della natura tanto da poter sentire il rumore delle ossa fracassate nelle fauci dei felini. Mangiano voracemente, l’autista mi dice perché hanno fretta di andare via, la mucca infatti apparteneva alla tribù di Maasai che vive lì vicino e appena i pastori se ne sarebbero accorti sarebbero andati a scacciarli.
Arriviamo ad un fiume in cui convivono pacificamente coccodrilli ed ippopotami, sono entrambi animali di una forza e di una aggressività senza pari, di conseguenza la loro convivenza è garantita dal rispetto reciproco. Nei pressi del fiume vive anche una grossa mandria di bufali che per gli abitanti del posto sono gli animali di gran lunga più pericolosi, si innervosiscono molto facilmente e non disdegnano di caricare anche un grosso automezzo.

foto estero e viaggi
 Poco lontano incontriamo un leopardo con i suoi due cuccioli intenti a mangiare e anche loro, come i leoni, sembrano poco infastiditi dalla nostra presenza. L’odore della preda dei leopardi attira alcune temibili iene, predatori opportunisti che preferiscono impossessarsi del cibo altrui, ma al contrario loro non gradiscono la nostra vicinanza cosicché si allontanano emettendo la loro inquietante e caratteristica risata.

Ogni tanto incontriamo un gregge di mucche e pecore condotto da qualche ragazzino o gruppi di donne che tornano dai pozzi con enormi taniche piene d’acqua . E’ sensazionale osservare la convivenza del popolo Maasai con la fauna selvatica e forse è proprio quest’equilibrio che regna nelle savane africane che una volta abbandonate quelle terre il semplice ricordo provoca il mal d’Africa!

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