venerdì 6 giugno 2014

DIREZIONE SAHARA

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Facciamo provviste a Ouarzazate, ultimo grande centro all’interno del Marocco prima delle aride terre che alternando altipiani pietrosi ad aspre montagne, conducono alle dune del Sahara. E’ negli studi cinematografici di questa città che i migliori registi del  mondo, attirati dagli splendidi paesaggi e dai costi di produzione ridotti, vengono a dar vita alle loro pellicole. Il cielo è grigio, aria di pioggia all’orizzonte, ma la temperatura resta sempre oltre i 35°.
Man mano che scorrono i chilometri il paesaggio cambia, sempre meno alberi e sempre più sassi, resistono solo qualche sparuta acacia e qualche palma malridotta. La strada costeggia il letto di un fiume, ce ne accorgiamo dalla vegetazione che insolitamente cresce abbondante, ma l’acqua non c’è, in superficie scorre solo un paio di  mesi l’anno. Cambia anche la tipologia delle abitazioni, adesso, ai lati della strada, cominciamo a vedere alte mura di fango all’interno delle quali sembra esserci della gente. Ci fermiamo per vedere di cosa si tratti, tutt’intorno un’immensa distesa di pietre a perdita d’occhio. Scendendo dalla macchina veniamo accolti da un vento caldo, forte e carico di sabbia, ecco perché in giro non c’è nessuno! Una di queste strutture è aperta, sembra disabitata, ci viene voglia di dare un’occhiata e di fare qualche foto. All’interno alcune casette di fango basse sorgono ai piedi di queste mura, la nostra curiosità e la fiducia nell’ospitalità marocchina ci spingono tra quelle strette vie, finchè incontriamo delle donne, coperte dai chador, che alla nostra vista restano sorprese almeno quanto noi. Vengono avanti le più giovani, sono incerte, ma poi la vista del nostro cane, animale non molto amato da quelle parti, le terrorizza e iniziano a gridare. In un momento siamo fuori da quella  piccola casbah, meglio rispettare la riservatezza di queste persone e ci rimettiamo in marcia, sta facendo buio e il vento ha spazzato via tutte le nubi.
 Arriviamo a Tagounite e prendiamo una stanza nell’unica struttura turistica della città, una grande casbah ristrutturata gestita da alcuni tuareg. E’ buio e non si vede tanto ciò che c’è all’interno di questa cittadella fortificata, circondata da alte mura di fango e paglia. La nostra stanza sta su una sorta di torretta, è rimasta esposta tutto il giorno al sole ed ora al suo interno fa più caldo che fuori. D’improvviso verso le dieci di sera cala il vento e con esso il rumore assillante e il fastidio dovuto alla quantità di sabbia che trasporta. In cielo sale una splendida luna piena che rischiara tutta la casbah, il silenzio è totale.
 La mattina ci si alza presto, bisogna sfruttare le prime ore della giornata in cui non c’è vento e il caldo è ancora sopportabile.
 Camminando per le vie polverose ci si avvicina un ragazzino locale che comincia a raccontarci della città sotterranea che si trova sotto di noi, vuole portarci a visitarla, dice che se non si conoscono bene  i luoghi non si possono trovare gli ingressi, così ci lasciamo condurre. Ci incamminiamo per le vie desolate circondate da alte mura di fango, tutto ha lo stesso colore, il colore rosso di tutta la terra d’Africa. Al nostro passaggio quelle vie deserte si riempiono di vita, tutti i bambini che abitano nelle case sulla strada ci vengono incontro, il nostro cane è l’attrazione principale, la temono, ma qualcuno più coraggioso si fa avanti e la accarezza tra le grida di tutti gli altri. Giungiamo ad una scalinata che conduce verso il basso, scendiamo, all’inizio è buio, poi il chiarore arriva da un lucernaio che prende la luce dalla strada, proseguiamo, è sensazionale, sotto terra c’è una città vera e propria. Abitazioni, piccoli negozi, stalle, tutto scavato nella terra, c’è un’atmosfera indescrivibile. Ma la cosa più curiosa è che sotto quella città sotterranea, ce n’è un’altra e sotto quella, altre ancora: sono cinque in tutto. Il motivo per cui hanno scavato la loro città sotto terra è per difendersi dal caldo, infatti lì la temperatura si mantiene su livelli gradevoli. Scendiamo fino al terzo piano sotterraneo, la poca luce arriva dai lucernai che arrivano fino al livello della strada e che proseguono giù fino ai livelli inferiori e da lampade ad olio. Il ragazzino ci dice che in quel  momento nelle case ci sono solo le donne e i bambini, molte non escono mai, aspettano i loro mariti, alcuni torneranno la sera, altri sono lontani a lavorare. Lì di lavoro non ce n’è, e da quando hanno fatto la diga  sul fiume per portare l’elettricità a Ouarzazate a loro non arriva più acqua, e così non possono irrigare i campi, nè possono allevare le capre. Lo Stato gli ha offerto l’elettricità, ma non hanno voluto accettarla, a loro serve l’acqua. Torniamo in superficie e chiedo al ragazzo come facciano sotto terra in caso di pioggia, lui mi guarda serissimo e mi dice che lì non piove da 25 anni!

Tornando alla casbah scopriamo che il proprietario è anche uno dei principali venditori di tappeti della città, ce ne propone a decine così ci lasciamo coinvolgere nelle estenuanti trattative per l’acquisto, sorseggiando thè su dei divani davanti a carta e penna! Chiudiamo per tre tappeti in cambio di una tenda, un sacco a pelo, una maglia e un po’ di contante. Carichiamo la macchina e dopo le foto di rito ripartiamo verso le dune del Sahara.

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