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Facciamo provviste
a Ouarzazate, ultimo grande centro all’interno del Marocco prima delle aride
terre che alternando altipiani pietrosi ad aspre montagne, conducono alle dune
del Sahara. E’ negli studi cinematografici di questa città che i migliori
registi del mondo, attirati dagli
splendidi paesaggi e dai costi di produzione ridotti, vengono a dar vita alle
loro pellicole. Il cielo è grigio, aria di pioggia all’orizzonte, ma la
temperatura resta sempre oltre i 35°.
Man mano che
scorrono i chilometri il paesaggio cambia, sempre meno alberi e sempre più
sassi, resistono solo qualche sparuta acacia e qualche palma malridotta. La
strada costeggia il letto di un fiume, ce ne accorgiamo dalla vegetazione che
insolitamente cresce abbondante, ma l’acqua non c’è, in superficie scorre solo
un paio di mesi l’anno. Cambia anche la
tipologia delle abitazioni, adesso, ai lati della strada, cominciamo a vedere
alte mura di fango all’interno delle quali sembra esserci della gente. Ci fermiamo
per vedere di cosa si tratti, tutt’intorno un’immensa distesa di pietre a
perdita d’occhio. Scendendo dalla macchina veniamo accolti da un vento caldo,
forte e carico di sabbia, ecco perché in giro non c’è nessuno! Una di queste
strutture è aperta, sembra disabitata, ci viene voglia di dare un’occhiata e di
fare qualche foto. All’interno alcune casette di fango basse sorgono ai piedi
di queste mura, la nostra curiosità e la fiducia nell’ospitalità marocchina ci
spingono tra quelle strette vie, finchè incontriamo delle donne, coperte dai
chador, che alla nostra vista restano sorprese almeno quanto noi. Vengono
avanti le più giovani, sono incerte, ma poi la vista del nostro cane, animale
non molto amato da quelle parti, le terrorizza e iniziano a gridare. In un
momento siamo fuori da quella piccola
casbah, meglio rispettare la riservatezza di queste persone e ci rimettiamo in
marcia, sta facendo buio e il vento ha spazzato via tutte le nubi.
Arriviamo a Tagounite e prendiamo una stanza
nell’unica struttura turistica della città, una grande casbah ristrutturata
gestita da alcuni tuareg. E’ buio e non si vede tanto ciò che c’è all’interno
di questa cittadella fortificata, circondata da alte mura di fango e paglia. La
nostra stanza sta su una sorta di torretta, è rimasta esposta tutto il giorno
al sole ed ora al suo interno fa più caldo che fuori. D’improvviso verso le
dieci di sera cala il vento e con esso il rumore assillante e il fastidio
dovuto alla quantità di sabbia che trasporta. In cielo sale una splendida luna
piena che rischiara tutta la casbah, il silenzio è totale.
La mattina ci si alza presto, bisogna
sfruttare le prime ore della giornata in cui non c’è vento e il caldo è ancora
sopportabile.
Camminando per le vie polverose ci si avvicina
un ragazzino locale che comincia a raccontarci della città sotterranea che si trova
sotto di noi, vuole portarci a visitarla, dice che se non si conoscono
bene i luoghi non si possono trovare gli
ingressi, così ci lasciamo condurre. Ci incamminiamo per le vie desolate
circondate da alte mura di fango, tutto ha lo stesso colore, il colore rosso di
tutta la terra d’Africa. Al nostro passaggio quelle vie deserte si riempiono di
vita, tutti i bambini che abitano nelle case sulla strada ci vengono incontro,
il nostro cane è l’attrazione principale, la temono, ma qualcuno più coraggioso
si fa avanti e la accarezza tra le grida di tutti gli altri. Giungiamo ad una
scalinata che conduce verso il basso, scendiamo, all’inizio è buio, poi il
chiarore arriva da un lucernaio che prende la luce dalla strada, proseguiamo, è
sensazionale, sotto terra c’è una città vera e propria. Abitazioni, piccoli
negozi, stalle, tutto scavato nella terra, c’è un’atmosfera indescrivibile. Ma
la cosa più curiosa è che sotto quella città sotterranea, ce n’è un’altra e
sotto quella, altre ancora: sono cinque in tutto. Il motivo per cui hanno scavato
la loro città sotto terra è per difendersi dal caldo, infatti lì la temperatura
si mantiene su livelli gradevoli. Scendiamo fino al terzo piano sotterraneo, la
poca luce arriva dai lucernai che arrivano fino al livello della strada e che
proseguono giù fino ai livelli inferiori e da lampade ad olio. Il ragazzino ci
dice che in quel momento nelle case ci
sono solo le donne e i bambini, molte non escono mai, aspettano i loro mariti,
alcuni torneranno la sera, altri sono lontani a lavorare. Lì di lavoro non ce
n’è, e da quando hanno fatto la diga sul
fiume per portare l’elettricità a Ouarzazate a loro non arriva più acqua, e
così non possono irrigare i campi, nè possono allevare le capre. Lo Stato gli
ha offerto l’elettricità, ma non hanno voluto accettarla, a loro serve l’acqua.
Torniamo in superficie e chiedo al ragazzo come facciano sotto terra in caso di
pioggia, lui mi guarda serissimo e mi dice che lì non piove da 25 anni!
Tornando alla
casbah scopriamo che il proprietario è anche uno dei principali venditori di
tappeti della città, ce ne propone a decine così ci lasciamo coinvolgere nelle
estenuanti trattative per l’acquisto, sorseggiando thè su dei divani davanti a
carta e penna! Chiudiamo per tre tappeti in cambio di una tenda, un sacco a pelo,
una maglia e un po’ di contante. Carichiamo la macchina e dopo le foto di rito
ripartiamo verso le dune del Sahara.
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